Scapece

Origini della scapece gallipolina, un’eccellenza Salentina

Photo: Alessandro Signore (Signorealex at Italian Wikipedia), Public domain, via Wikimedia Commons

Il mare non può che essere il protagonista in questa ricetta tipica salentina, così come in altri piatti della tradizione locale. Questo piatto a base di pesce fritto marinato con mollica di pane imbevuta di aceto e zafferano è uno dei protagonisti dello street food locale, ma in pochi lo conoscono al di fuori del Salento. Diamo quindi giustizia a un piatto simbolico di questa terra ricca di tradizioni e sapori.

Quando nasce la scapece? Un po’ di storia

Il termine scapece deriva dal latino Esca Apicii (cibo di Marco Gavio Apicio). Apicio è stato un gastronomo, cuoco e scrittore romano vissuto a cavallo fra il I secolo a.C. e il I secolo d.C.. A lui si deve la nascita di tantissime ricette famose ancora oggi: tipiche lo scapece di Vasto (pezzi di pesce conservati in aceto), lo scapece di Gallipoli (pesciolini conservati nel pane grattugiato insaporito con aceto e zafferano), gli scapeci (o scabecciu, raschipece, ecc.) di verdure, soprattutto zucchine, marinate con aceto e aromi (Campania, Liguria, Calabria).

Anche questa ricetta “povera” marinara deve la sua popolarità alle esigenze dei suoi abitanti. La leggenda ne fissa le origini a cinque secoli fa, quando la popolazione era costretta a rifugiarsi all’interno delle mura per difendersi dalle potenze mediterranee. Per scongiurare la fame era necessario rifornirsi di cibo da conservare per molto tempo e il pesce, abbondante nei mari intorno alla città, si prestava a questo uso.

Infatti l’ingrediente principale della scapece è il pesce che viene fritto e fatto marinare tra strati di mollica di pane imbevuta con aceto e zafferano all’interno di tinozze chiamate, in dialetto gallipolino, “calette”. Da consumare nei periodi di necessità, insomma. La presenza dell’aceto, in gran quantità, permetteva di conservare facilmente il pesce alla scapece. Col tempo, il pesce azzurro è stato arricchito con lo zafferano, proveniente soprattutto dall’Abruzzo.

In tempi recenti la scapece gallipolina è diventata la regina delle feste patronali: vero e proprio simbolo di una comunità legatissima al mare. Qui esistono delle vere e proprie maestranze, quelle degli scapeciari, che da secoli si tramandano i segreti di questa specialità, esportandola anche al di fuori della città.

Come viene preparata la scapece?

Sebbene, la scapece sia facile da realizzare anche a casa, il metodo “tradizionale” prevede una procedura del tutto particolare, difficile da replicare in casa.

Il pesce non viene pulito prima di essere fritto nella scapece gallipolina. Questo a causa della quantità e della dimensione ridotta delle specie di pesci utilizzati. La lisca del pesce viene mantenuta: viene infatti completamente ammorbidita dall’aceto e diventa commestibile senza problemi.

Va precisato che ci sono più tipi di scapece gallipolina, differenti tra loro per il tipo di pesce utilizzato, per questo, prima della frittura, i vari tipi di pesci vengono “scucchiati”, cioè separati, secondo la specie. I pesci fritti vengono disposti, a partire dal fondo della tinozza, a strati alternati con la mollica di pane imbevuta con l’aceto in cui è stato sciolto lo zafferano.

La mollica che si utilizza è quella della pagnotta. La forma di pane viene privata della crosta e tagliata a metà, le varie metà vengono poi strofinate su uno strumento detto “crattacasa”, una grande grattugia formata da un semicilindro di acciaio largo mezzo metro sulla cui superficie sono stati praticati dei fori, simili a quelli di una grattugia da formaggio, larghi circa un centimetro.

Una volta che la tinozza è stata riempita fino all’orlo viene sigillata con un foglio di plastica e messa a riposare in una cella frigorifera. Questa specialità locale tipica Gallipolina è un prodotto che si può consumare tutti i giorni viste le proprietà benefiche dell’assunzione del pesce azzurro.